Il mito della mamma perfetta pesa come un macigno sulla spalle di molte donne (ancor prima di diventare madri). Liberarcene è difficile, ma non impossibile. Leggi l’articolo per scoprire come possiamo sfatare questo mito con 5 riflessioni da non dimenticare.
Ormai lo sappiamo, per una donna la maternità è uno degli eventi più significativi della sua vita. E probabilmente, è l’esperienza che più di tutte porta con sé una fortissima ambivalenza emotiva: stupore e dolore, gioia e insoddisfazione, amore e rabbia. La presenza di emozioni scomode, nell’esperienza della maternità, da molte donne viene vissuta come una ferita insanabile, segno che sono più che mai lontane dall’immagine di mamma perfetta a cui aspiravano ancor prima di conoscere il loro bambino. Ma perché questo succede?
Una delle cause sono sicuramente le aspettative. Quelle che, sulla spinta di una serie di stereotipi culturali trasmessi di generazione in generazione, tendiamo a vivere nella nostra testa come un film, già durante la gravidanza. Le stesse aspettative che costruiscono, tassello dopo tassello, il mito della mamma perfetta: una mamma sempre presente (a sé stessa e con i suoi figli), una mamma infallibile che non urla e non vacilla, che sa sempre cosa fare.
La verità è che la mamma perfetta è un ideale irrealistico. Perché, semplicemente, la perfezione non esiste. La buona notizia è che, quella della mamma perfetta, può essere sostituita con un’altra visione di maternità.
Vediamo insieme come possiamo sfatare questo mito, riflettendo su 5 punti.
Ma prima, una piccola premessa.
La matrescenza

Prima di iniziare a riflettere sui cinque punti che ci permetteranno di sfatare il mito, voglio ricordarti una cosa importante. Il passaggio dall’essere figlia all’essere madre è un’esperienza così dirompente che è stata definita dagli antropologi matrescenza. Proprio perché, con tutti i cambiamenti (fisici ed emotivi) che comporta, la si assimila all’adolescenza.
Con la maternità cambiano tutte le dinamiche familiari, le fantasie sul nostro bambino e sulle madri che saremmo state si scontrano con la realtà, si guarda spesso con rimpianto alla vita che avevamo prima e a tutti gli schemi che non possiamo più riprodurre.
Non sorprende allora che la maternità sia caratterizzata da questa ambivalenza emotiva, da un’alternanza di stati d’animo diversi. Tutto questo è normale.
Per approfondire ulteriormente questo aspetto, ti consiglio questa puntata del podcast di Sara Baggetta – Psicologa Perinatale, che ho apprezzato molto.
1. Da mamma perfetta a mamma sufficientemente buona

Fatta questa premessa, iniziamo a sfatare il mito.
Il primo passo per liberarci del peso della mamma perfetta è sostituire questo ideale utopistico con un altro. Possiamo adottare il concetto di madre sufficientemente buona, così come la definiva Winnicott.
Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista britannico, con mamma sufficientemente buona intende una madre libera dal peso della perfezione. Alla madre dispensatrice di amore, attenzione e cure materne senza cedimenti e fallimenti, Winnicott sostituisce la figura di una madre fallibile, che – seppur con stanchezza, fatica e preoccupazione – riesce ad essere autenticamente presente e in grado di trasmettere sicurezza e amore. Quella di Winnicott è una madre che non solo può fallire nei suoi intenti educativi (salvo poi riflettere e riaggiustare il tiro, aggiungerei io) ma è una madre che non capisce il suo bambino a volte, e magari prova anche rabbia in alcune circostanze. In sostanza, è una madre umana. Una madre che riesce ad essere attivamente presente nella vita dei suoi figli – nonostante questa consapevolezza – e a rispondere ai loro bisogni con un focus che andrà scemando man mano che i suoi figli cresceranno. Questo causerà in loro una piccola frustrazione, la stessa che però li renderà più preparati ad affrontare le sfide che incontreranno nel mondo là fuori.
In sostanza, i figli non hanno bisogno di una madre perfetta per crescere, ma proprio di una madre sufficientemente buona.
Di questo ne abbiamo parlato con Sara Pellegata – Psicologa e Danzaterapeuta in una bellissima live IG (che ti consiglio di ascoltare: è ricchissima di preziosissimi spunti di riflessione).
2. Non esistono emozioni sbagliate
Riuscire ad abbracciare il concetto di madre sufficientemente buona implica non solo accettare la nostra natura umana e fallibile, ma anche l’ambivalenza emotiva che questa porta con sé.
Essere madri significa (anche) provare gioia e frustrazione, tenerezza e rabbia verso i nostri figli. Te lo ripeto ancora una volta: tutto questo è normale. Così normale che lo stesso Winnicott, in un famoso articolo, elencò ben 18 motivi per cui una madre potrebbe provare emozioni scomode nei confronti del suo bambino.
Non esistono emozioni buone e cattive, giuste e sbagliate. Le emozioni sono neutre e tutte (soprattutto quelle più spiacevoli) hanno un valore segnaletico. Le emozioni sono come delle “spie luminose”: ci informano che è arrivato il momento di portare il focus su una situazione, per comprenderla e trovare soluzioni. Ci danno informazioni utili, messaggi importanti. Anche se a volte, quei messaggi non vorremmo proprio ascoltarli.
Eppure, se vogliamo uscire da una situazione di disagio per crescere ed evolvere, è davvero importante farlo.
3. Accogliere le emozioni scomode

Le emozioni (e le nostre reazioni) quindi non hanno etichette. Perfino emozioni come la paura, la rabbia, la frustrazione, il disgusto sono neutre. Nemmeno le nostre reazioni – ciò che decidiamo di fare di quell’emozione, il modo in cui decidiamo di viverla – sono negative, ma possono essere disfunzionali o inefficaci.
Per farti un esempio, la rabbia che puoi provare se senti che il carico mentale si è fatto davvero troppo pesante, non è negativa. Ma possono essere disfunzionali le reazioni a quella rabbia: urla, minacce, aggressività verbale.
Come possiamo allora gestire al meglio un’emozione scomoda?
Sicuramente non ignorandola, mettendo un coperchio sopra una pentola che ribolle. E nemmeno evitando situazioni che possano rappresentare un trigger. L’unico modo sano per reagire all’insorgere di emozioni (piacevoli e non) è accoglierle. Farsi attraversare, accettarle senza giudizio. Ascoltare il messaggio che provano a comunicarci. E poi, quando abbiamo recepito quell’informazione, iniziare a scavare nelle risposte per trovare quelle che possano rappresentare una soluzione al nostro problema.
4. La relazione madre – bambino
Ogni relazione umana è intrisa di emozioni e stati d’animo contrastanti. Pensaci. Pensa a tutte le volte che hai provato rabbia verso il tuo compagno, lo stesso per cui provi anche amore e stima. E pensa anche a tutte le volte che ti è sembrato di detestare tua madre (non so te ma, se riporto la mente all’adolescenza, questo esercizio di visualizzazione mi risulta davvero semplicissimo). Ripensa a tutte le relazioni più importanti della tua vita: immagino siano tutte complesse, un misto di gioia, paura, meraviglia, rabbia, ansia e frustrazione.
Quindi ti chiedo: perché il rapporto con i nostri figli dovrebbe essere diverso?
Dimentica per un attimo gli stereotipi, il retaggio culturale che ci ha tramandato l’idea di mamma perfetta. Dimentica la convinzione che essere madre debba significare essere una dispensatrice di amore e cura senza momenti di cedimento.
La relazione con tuo figlio è una relazione importante, ma è pur sempre una delle tante relazioni umane di cui si compone la tua vita. E come ogni relazione umana, è semplicemente imperfetta.
5. La maternità oltre gli stereotipi

Ridimensionare l’idea di dover essere una mamma perfetta e infallibile non è semplice. Non pretendere da te stessa di doverci riuscire subito. Alcune idee riescono a mettere radici profonde dentro di noi e si riflettono in schemi così interiorizzati che tendiamo a replicarli senza nemmeno accorgercene.
Quindi, dopo aver letto queste riflessioni, fermati un attimo. Lascia sedimentare le idee che ti ho proposto, prova a dare loro il giusto spazio per nutrire anche le tue, se le ritieni valide.
E poi, quando riuscirai davvero a tirare una linea nera sull’ideale di madre perfetta (il che non vuol dire che riuscirai ad eliminarlo per sempre, eh!), prova a riscrivere la tua personale storia di maternità. Prova a tracciare da sola i confini della madre che ti senti di essere, creando una narrazione che possa farti sentire a tuo agio.
Come?
Prova a fare questo esercizio con me. Prendi carta e penna e inizia a porti alcune domande. Ad esempio: cosa sono disposta a dare? Quanto e in che modo voglio essere presente nella vita dei miei figli? Che tipo di educazione è in linea col mio sentire di individuo e donna?
Mettiti in ascolto. Alcune risposte inizieranno ad emergere. E saranno risposte importantissime, perché la tua nuova storia di madre partirà proprio da lì.

Ehi, questo è stato un articolo intenso (da scrivere, e immagino anche da leggere!).
Fammi sapere cosa pensi di questa alternativa alla narrazione comune di maternità. Vienimi a trovare su Instagram e parliamone insieme.
Ti aspetto.