La cura di sé, o self care, viene spesso associata a parole come egoismo, capriccio, superficialità. Proviamo a cambiare prospettiva e riflettiamo sul perché la pratica di self care ci rende più felici, produttivi e soddisfatti. Leggi fino alla fine per scoprire 5 modi in cui il self care mi ha reso una madre migliore.
La prima volta che ho sentito parlare di self care, mi sono guardata intorno perplessa. Non dormivo da almeno tre ere geologiche, avevo la schiena a pezzi per il peso quotidiano da sostenere di otto chili di bambina, i pensieri nella mia testa sembravano fatti di ovatta.
Non vi stupirà quindi se la prima cosa a cui ho pensato fosse una sorta di pratica medica auto curante.
In un certo senso i dizionari mi davano anche ragione.
Se poi vogliamo passare dai dizionari al senso comune, al concetto di self care è associata una vasta gamma di attività alle quali una neomamma sente di non poter accedere, se non col contagocce: una lunga doccia calda, una sessione di shopping sfrenato, un appuntamento dal parrucchiere, un pasto sano.
Tutte attività che ci fanno sentire meglio, nessuno lo mette in dubbio.
Ma osservatele più da vicino: non si tratta forse di mera sopravvivenza o tentativi di sedare un’insoddisfazione più profonda?
Il self care, come suggerisce il termine, è proprio la cura di sé.
Del nostro corpo, ma anche della nostra mente, delle nostre passioni, delle nostre relazioni.
Dormire e nutrirsi adeguatamente o applicare tutte le creme che abbiamo dopo un bel bagno rilassante sono attività che ci permettono di vivere meglio. Nei primi mesi di vita rappresentano la forma più alta di cura verso noi stesse.
Ma nel lungo periodo – quando i nostri figli saranno meno richiedenti e più autonomi – basteranno?
Io penso di no. E ti spiego perché.
Self care come atto d’amore e gentilezza
Al liceo sono rimasta profondamente colpita dalla piramide di Maslow.
Lo psicologo teorizzava l’esistenza di una gerarchia di bisogni alla base della spinta al miglioramento della condizione umana. La soddisfazione di una determinata categoria di bisogni conduce, per Maslow, all’insorgere di quello di ordine successivo.
Io rivedo un po’ la stessa architettura nei momenti di cura che conducono al benessere fisico ed emotivo e, in ultima istanza, alla felicità.
Dormire, riposare, nutrirci adeguatamente sono attività fondamentali, necessarie al mantenimento di una buona qualità di vita. Sono il carburante delle nostre giornate. E quanto sono importanti lo capiamo durante i primi mesi di vita di un bambino: senza queste precondizioni di benessere ci sembra a malapena di restare a galla.
Ad un livello successivo poi troviamo veri e propri momenti di cura, ma fini a se stessi. Una seduta dal parrucchiere, una sessione di shopping, la manicure, un massaggio, la maratona su Netflix che agognavamo tanto da anni. Anche questi sono piccoli attimi di gioia che ci nutrono e ci fanno stare bene. Eppure, in questi casi la sensazione di benessere scompare dopo poche ore. Perché?
Perché nessuna di queste attività ci consente di fiorire, evolvere, crescere.
Quando la breve sensazione di appagamento legata ai momenti di cura intermedi scompare, nasce una nuova esigenza. La sentiamo proprio lì, tra il petto e la pancia che sgomita per farsi vedere. È il bisogno di crescere, evolvere. Connettersi con altre persone, far parlare tra loro mente e corpo, dedicarsi a tutte le attività che ci avvicinano alla nostra visione. Alla nostra personale idea di felicità.
E proprio perché l’idea di felicità varia da persona a persona, anche i momenti di cura all’apice di questa piramide sono estremamente variabili.
Per me, ad esempio, in questa categoria rientrano le mie amate pratiche di yoga, il journaling, i weekend con le amiche e le cene con mio marito, le ore trascorse a leggere libri di narrativa o crescita personale.
Stabilire un dialogo con la nostra parte più autentica, coltivare le relazioni importanti e le passioni che ci animano ci rende più ricchi, grati, soddisfatti. Ci mette nella condizione di essere così pieni da avere la voglia e il desiderio di nutrire le persone intorno a noi. E quella pienezza, a ben vedere, è proprio l’unico presupposto per essere presenti con i nostri cari e per dedicare loro del vero tempo di qualità.
Le nostre convinzioni limitanti
E allora se il self care è così importante, perché fatichiamo a concederci questi momenti di cura?
- Non ho tempo
- Non è importante
- È un segno di debolezza
- Mi fa sembrare una madre egoista
- È un capriccio
- Cosa penseranno tutti di me?
- Mio figlio vuole stare solo con me
Sono sicura che almeno una volta, quando hai sentito il bisogno di dedicarti del tempo di qualità, ti sei data una di queste risposte.
Ma queste non sono altro che convinzioni limitanti.
Sono una serie di gabbie in cui imprigioniamo la nostra testa, impedendoci di soddisfare quei desideri allineati alla nostra idea di felicità.
Assecondare le nostre convinzioni limitanti ci priva di momenti di crescita ed evoluzione, momenti di ricchezza e pienezza che sono alla base di ogni relazione sana. Perché è solo nell’incontro tra due persone piene e felici che possono fiorire i rapporti. Incluso quello con tuə figliə.
E allora forse vale la pena uscire da queste gabbie.
Iniziare a riscrivere tutte le conversazioni con noi stesse, cambiare le storie che ci raccontiamo, se quelle storie non ci avvicinano alla versione di noi a cui aspiriamo.
Vale la pena dirsi che il self care non è egoista, ma un atto di cura necessario per crescere e fiorire. Che possiamo ricevere amore anche se scegliamo di metterci al primo posto, a volte. Che meritiamo il tempo di cui abbiamo bisogno, e non quello che resta.
Perché solo coltivando la ricchezza che abbiamo dentro possiamo avere qualcosa con cui nutrire gli altri.
Se vuoi saperne di più, su Instagram ho condiviso la mia esperienza e ho raccontato in che modo la pratica del self care mi rende una madre migliore. O almeno, quella che vorrei essere.